Sant’Egidio: la sacralità del territorio.
di Francesco Manfredi-Selvaggi (ORTAM)
Un edificio di culto in campagna come quello dedicato a S. Egidio non è una cosa rara nel Molise. Da noi, i segni della religiosità sono diffusi capillarmente nel territorio e non c’è paese nella regione in cui non vi sia una cappella rurale. Le chiesette disperse nell’agro stanno a testimoniare la presenza dell’uomo in angoli anche remoti. S. Egidio è collocato in un luogo molto distante dal centro urbano, riservato al pascolo e al bosco i quali stanno, generalmente, nelle fasce di territorio più lontane dagli abitati; nonostante ciò non si tratta di una zona lasciata alla natura ma si leggono legami stretti con la pianura sottostante dove sta la città.
I contatti con l’insediamento abitativo sono assicurati dai numerosi sentieri tra cui vi sono quelli dei pellegrini che si recano nella cappella montana. Quest’ultima è un sicuro segno dell’avvenuta conquista dell’uomo delle terre situate in altitudine; si è adoperato il termine conquista perché di una vera e propria conquista si tratta in quanto si riconduce all’uso antropico lembi selvaggi. La nostra storia è fatta più che di guerre ad altri popoli per impossessarsi dei loro tenimenti, di autentiche sfide ai comprensori naturali restii allo sfruttamento da parte dell’uomo. Così deve essere avvenuto qui e, pertanto, la chiesetta, seppure considerata dalla credenza popolare un luogo di eremitaggio (S. Egidio è un eremita), non risponde all’esigenza di rifugiarsi nella natura, ma, al contrario, al suo addomesticamento.
Tutto ciò serve a spiegare l’effetto di questa costruzione, che è, sostanzialmente, quello del confronto tra forme architettoniche e contesto naturale. Piuttosto che contrapposizione, si avverte una specie di armonico rapporto tra natura e architettura per via delle ridotte dimensioni del manufatto rapportabili a quelle dell’intorno e dei materiali impiegati nell’edificazione che sono le pietre e il legno, reperibili in loco. Tale immedesimazione della costruzione nel contesto paesaggistico ha qualcosa di “animistico” e ciò contribuisce a rafforzare il senso di sacralità del luogo. È una spiritualità intima quella che emana la piccola chiesetta, proprio per via della limitata grandezza della costruzione, ma, nello stesso tempo essa è un sentimento collettivo. Chiese come questa che risalgono al medioevo sono anzi gli unici esempi del periodo feudale di fatti che coinvolgono la collettività. Il coinvolgimento dei nostri antenati nella fede era molto profondo e il loro attaccamento verso questo luogo di culto è vivo ancora oggi.
Passiamo ora a vedere l’organizzazione del santuario. La recinzione in metallo realizzata circa 20 anni or sono non riesce a stabilire i confini del luogo di culto e si nota una tendenza alla distribuzione degli elementi che compongono questo sito religioso in un ambito piuttosto largo come rivela la statua del santo posta su una emergenza rocciosa nei dintorni. I confini non sono neanche definiti dalla conformazione naturale perché qui siamo in un ambiente aperto, privo di sicure delimitazioni fisiche. Che non siamo davanti ad un episodio concluso lo dimostra pure il costante sviluppo che esso ha subito, prima con la edificazione del rifugio e poi con quella del porticato.
Invece della teoria dell’ “isolamento” per la valorizzazione di questo monumento si è seguita la strada dell’aumento delle attrezzature al suo intorno per le quali si può parlare di continua accrescibilità. Tra le tante cose che formano questo complesso il primo posto spetta alla sorgente sia perché è alla risorsa idrica che va collegata la scelta dell’ubicazione dell’insediamento religioso (legame che oggi si è perso come si può vedere per il santuario di Castelpetroso) sia perché è l’acqua a movimentare l’aspetto paesaggistico.
La vivacità di questo insieme è data anche dalla circostanza di trovarci in un suolo in pendenza che provoca la successione di terrazze (quella dove sta la fontana) e ripiani (quello che costituisce il sagrato della chiesa). Una situazione pianeggiante è, sicuramente, meno interessante di quella che può consentire un declivio. Si viene a determinare pure un accrescimento dell’immagine della chiesetta che, vista dal basso, sembra posta su un basamento, una specie di zoccolo in pietra (che gli antichi greci avrebbero chiamato “crepidoma”) che è dato dal muro alle spalle della fontana. La completa apertura dello spazio si bilancia con un orientamento preciso dell’edificio di culto che ha la facciata rivolta verso il percorso che collega con località Pianelle.
Le chiesette rurali hanno la caratteristica di non trovarsi in una condizione spaziale data, come potrebbe essere una strada urbana o una piazza che ne determina la posizione, ma stanno appartate in campagna in ambienti rivolti in molteplici direzioni. Questa chiesa rappresenta un tipo edilizio di base costituita com’è da una monocellula che è la matrice del processo tipologico. Ciò è valido tanto per le cappelle minori quanto per le case perché la cellula è un elemento seriale che ripetuto e variato può dar forma ad abitazioni a schiera, in linea, ecc., a magazzini, edifici per l’amministrazione, anche attraverso la rifusione di più cellule.
Lo stato di fatto attuale del santuario è molto diverso da come doveva essere originariamente perché, almeno nei periodi festivi, non si riesce più ad apprezzare la solitudine che dovette attrarre il primo eremita; il silenzio necessario per le preghiere è, a volte, sopraffatto dal rumore prodotto dai visitatori. Lo stesso significato di luogo religioso rischia di attenuarsi perché stanno emergendo nuove attribuzioni di senso come quelle legate al turismo, alla ricreazione all’aria aperta e così via. Un impegno inderogabile è, comunque, quello di tutelare questo segno storico quale testimonianza della cultura popolare del passato, la quale come tutte le civiltà che ci hanno preceduti ha lasciato traccia nel nostro territorio.
Non è scontata, va detto, la perpetuazione di questo santuario all’infinito ed un monito è la chiesetta di S. Nicola sulla montagna di S. Massimo ridotta allo stato di rudere la quale attesta che non sempre c’è continuità nella storia, ma possono esserci fratture, salti.